Vengono definiti “vizi capitali” quei comportamenti che, incidendo sulla morale dell’uomo, provocherebbero la distruzione della sua anima. I semi maligni del peccato vengono piantati in cuori all’apparenza incorruttibili, scudati da virtù, protetti da un’aura di intelligenza, fierezza e bontà. Essi corrompono l’ingenuità, traviano l’innocenza e sporcano la purezza, illibata fino a poco prima.
Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia sembrano aver corrotto il mondo con un canto da sirena, risucchiando anche il più integerrimo di noi, schiavo e dipendente dal loro fascino.
Perché siamo stati corrotti? Come siamo arrivati a tutto questo?
Per alcune culture, tra cui la più vicina cattolico-cristiana, la Superbia è il peggiore dei sette vizi capitali e il motivo di tale condanna risiede nel significato della parola stessa. Dizionario alla mano, la Superbia è: “Radicata convinzione della propria superiorità (reale o presunta) che si traduce in atteggiamenti di orgoglioso distacco o anche di ostentato disprezzo nei confronti degli altri”. Non è difficile capire perché la religione cattolico-cristiana indichi la Superbia come il peccato principe tra i vizi mortali: “Non avrai altro Dio al di fuori di me”, il primo comandamento stona terribilmente con la spiegazione offerta dallo spartano dizionario di Google. Insomma, non c’è spazio per due galli in un unico pollaio, figurarsi sette milioni e mezzo di superbi in un pianeta piccolo e fragile come la Terra.
Sorvolando sulle fantozziane riflessioni a sfondo mistico, la Superbia è di certo un male del nostro tempo. Si è diramata come un difetto genetico ereditario, ha infettato i presunti incorruttibili e si è rafforzata negli anni, mettendo da parte l’Illuminismo e chiudendosi nei santuari a lei dedicati da Facebook e Twitter.
L’uomo è un ricettacolo di vizi e la Superbia è uno di quelli più affini ai tempi moderni e ai relativi mezzi di comunicazione. I social sono un occhio di bue prestato al palco più grande, quello della vita, e nessuno può negare l’esigenza (e l’intimo piacere) di ricevere attenzioni da parte di amici, conoscenti e sconosciuti.
Gli stati sono spazi vuoti, angoli in cui chiunque può riversare pensieri, sentimenti, frustrazioni e sono lì, a portata di mano: i famosi 140 caratteri (ormai sorpassati) danno l’impressione di averci aspettati tutto il giorno, smaniosi di conoscere le nostre idee e sempre pronti a proclamare l’ennesima sfaccettatura della nostra personalità, tramite un confessionale chiuso ma microfonato. Gli apprezzamenti aumentano stato dopo stato, i like raddoppiano, le condivisioni triplicano e il nostro ego si gonfia d’orgoglio come nemmeno nel giorno del diploma. I sostenitori sposano le nostre cause, si rivedono nelle nostre esperienze, pensano le nostre idee e, involontariamente, finiscono per dopare la sicurezza che riponiamo in noi stessi.
Siate vanitosi, non superbi.
Nonostante tutto, c’è da dire che la massa non gode di esempi di virtù al vertice e come spesso si usa dire in questi casi, ‘il pesce puzza sempre dalla testa’.
La Superbia politica non è un fenomeno italiano, anzi, è possibile ritrovarla nelle più grandi democrazie (o presunte tali) del mondo. L’Europa si unisce sempre più in uno spirito nazionalistico che divide, si scopre diversa dopo anni di globalizzazione e rivendica le proprie molteplici identità con più o meno forza. In questi periodi, il Parlamento Europeo somiglia alla sala d’attesa del medico di base: c’è l’influenzato che spaccia la febbre come male mortale, quello con la gastroenterite che sostiene di non avere più fiato per vomitare e quello con un neo sospetto che secondo lui lo porterà a morte certa. Tutti vogliono attirare attenzione e rispetto, ma ognuno finisce per ignorare il povero disgraziato seduto all’angolo, che non parla perché ha un male incurabile, ma che ascolta tutti perché convinto di non poter giudicare la soglia del dolore altrui.
In Europa è difficile capire chi sia il poveraccio in fin di vita, ma è facile fare una cernita di quelli intenti a rivendicare lo stesso grado di attenzione e rispetto degli altri malati. “Radicata convinzione della propria superiorità…” dicevamo.
Ognuno è convinto di essere unico, ognuno si dice orgoglioso della propria singolarità e tutti si rifiutano di comprendere l’altro, di tendergli una mano e aiutare. Anzi, di questi tempi si chiede addirittura la secessione! “Ostentato disprezzo nei confronti degli altri…” così spiegava Google.
Siate orgogliosi, non superbi.
Gli Stati Uniti (non) meritano una menzione specifica.
All’opposto, la falsa modestia va di moda dalla notte dei tempi e nonostante tutti la subiscano, a malincuore, ognuno di noi non può fare a meno di dispensarla come Vigorsol appena aperte. In fondo, tutti conosciamo quel fastidioso prurito agli organi interni che si palesa nel momento in cui lo sbruffone di turno decanta le proprie lodi, travestendole da vizi.
“Sono troppo buono”.
“Il mio difetto è che sono paziente”.
“L’ho amato troppo, questo è stato il mio sbaglio”.
Per alcuni, la falsa modestia è ancora peggio della più lapalissiana superbia e per una volta mi trovo d’accordo con la massa. L’umiltà è una virtù reale, tangibile, cristallina ed è originale, non replicabile: tentare di riprodurla non ci metterebbe solo in ridicolo, ma darebbe vita a una copia sbiadita di qualcosa di raro e bellissimo. Esseri umili è come essere innamorati, non si può fingere.
Siate onesti, non superbi.
La superbia si trova all’interno dell’uomo, come il sangue e l’ossigeno, e spesso si tramanda di padre in figlio, infettando il circondario come una brutta epidemia morale.
La nostra società brulica di superbi: dai politici ultra nazionalisti ai cittadini in cerca di riscatto, dal collega competitivo al bullo che detta legge, dalla fashion blogger che decide in&out di stagione al tifoso gasato per la ventesima vittoria consecutiva.
Le diversità ci univano tempo fa, prima che qualcosa di sconosciuto ci cambiasse così radicalmente e oggi, che ci guardiamo con un po’ di schifo e un pizzico di presunzione, ci allontaniamo come due amanti che rinnegano il passato comune. Alziamo lo sguardo e vediamo qualcuno che non capiamo più, qualcuno che sbaglia e che per questo è da considerarsi inferiore, da ignorare e deridere.
Il bisogno smodato di affermare la propria identità sembra forte abbastanza da sovrastare qualsiasi cosa, anche il rispetto per gli altri e il dubbio che questi -per una volta- possano essere migliori di noi.
Siate aperti, non superbi.
Ovviamente, non si tratta di un post moralista, perbenista e bigotto. Anzi, è tutto l’opposto: si tratta di una richiesta d’aiuto, aiutiamoci a migliorare.
Citando l’uomo barbuto crocifisso, “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”…
Illustrazioni: Marta Dahlig